Monday, February 13, 2012
Arab Springs
The 2012 World Press Photo Awards have already been widely discussed over the last few days, especially much has been written about the Photo of the Year, raising many eyebrows (including mine) over the choice of an image so strikingly reminding the iconography of The Pietà to represent the complexity of all the events we are now used to sum up as the Arab Spring.
I had a look at all the photographic works on the revolts in the Middle East and North Africa which were awarded this year, and to me the most relevant thing about those photographs was the lack of attention given by the photographers (and by the jurors) to the places where these revolts happened. All the photographs show angry men wielding batons or holding guns, kids running, hands up with victory signs, and so forth. No chance to look at the lansdcsape around those people, the houses they live in, the places where they work, the buildings of their cities, the streets where they gathered. Wasn't there anything worth showing of the cities and the villages where those people grew their anger, their need for change? Nothing in the architecture built by their regimes can tell us something on why those men and women wanted their leaders to leave?
Obvioulsy the answer is yes, and if only less space were given to the here and now in all those photographs, we would have the chance to look at images where we could read something more of those places, those people, those revolts.
Then my eyes fell on the catalogue recently published for the 2012 Joop Swart masterclass, the yearly workshop by the World Press Photo gathering a selection of up and coming photojournalists and documentary photographers. Among the 12 selected young guns, I noticed the work by Irish photographer Ivor Prickett, Free Libya. Finally I could see the Libyan landscape, the way people inhabit the space, the shape of the cities, the scars of the conflict on the country's land.
Prickett also made a work called Days of Anger, where he documents the unfolding of the protest in Cairo's Tarhir square in his own personal way, often showing us what happens just outside the square, with protesters having lunch and taking a break from the protest, or photographing the square from a nearby balcony, through tv antennas and clothes hung out to dry.
All that is missing in the awarded Arab Spring photographs this year, ie the context, the environment, the topography of the revolts, is in Prickett's photographs. It is funny that the same organisation which selected a photographer for its prestigious workshop on the basis of his subdued approach to the year's top story, then awards photographers who saturated their images with drama and urgency, erasing all perception of the theatre of the events from their photographs.
I can only hope that the mentors at Joop Swart did not try to push Prickett towards a more raw approach, his vision looks good as it is to me.
Si è già discusso ampiamente del World Press Photo 2012 negli ultimi giorni, in particolare molto è stato detto sul premio per la foto dell’anno, che ha suscitato non poche perplessità (inclusa la mia) per la scelta di un’immagine evocativa della Pietà cattolica come emblema del vasto fenomeno ormai denominato Primavera Araba.
Guardando con attenzione tutte le immagini premiate quest’anno che trattano delle rivolte in Medio Oriente e in Nord Africa, la cosa che più salta agli occhi è l’assenza (ad opera dei fotografi e dei giurati) di una rappresentazione dei luoghi in cui queste rivolte sono accadute. Tutte le fotografie mostrano uomini che brandiscono armi o bastoni, ragazzini che corrono, mani che fanno il segno della vittoria, e così via. Non c’è occasione per osservare il paesaggio che circonda queste persone, le case in cui vivono, dove vanno a lavorare, gli edifici delle loro città, le strade dove si sono riuniti. Possibile che nulla ci fosse da mostrare delle città e dei villaggi dove queste persone hanno coltivato la loro rabbia, il bisogno di un cambiamento? Niente dell’architettura di quelle terre era in grado di dirci qualcosa sul perché tutti quegli uomini e quelle donne volevano che i loro leader se ne andassero?
Ovviamente la risposta è si, e se solo fosse stato dato meno spazio all’esigenza di un qui ed ora in tutte quelle fotografie, forse ora avremmo la possibilità di guardare delle immagini in cui potremmo leggere qualcosa di più di quei luoghi, di quelle persone, di quelle rivolte.
Poi l’occhio mi è caduto sul catalogo da poco pubblicato del Joop Swart Masterclass 2012, il workshop annuale del World Press Photo che raccoglie una selezione di fotogiornalisti emergenti. Tra i dodici nuovi talenti scelti quest’anno, ho trovato Free Libya, il lavoro di un giovane fotografo irlandese, Ivor Prickett. Finalmente potevo vedere il paesaggio della Libia, il modo in cui il popolo libico vive nelle proprie città, potevo vedere i segni del conflitto sul suolo del paese.
Prickett ha realizzato anche un altro lavoro, Days of Anger, dove documenta la protesta di piazza Tahrir in modo molto personale, spesso mostrandoci quello che accade appena fuori la piazza, con i manifestanti che pranzano in una via laterale prendendosi una pausa dalla protesta, oppure fotografando piazza Tahrir da un balcone vicino, attraverso le parabole e i panni stesi sui tetti.
Tutto quello che manca nelle foto della primavera araba premiate quest’anno, il contesto, i luoghi, la topografia della protesta, è al centro delle foto di Prickett. Buffo che la stessa organizzazione che lo ha selezionato per il prestigioso workshop sulla base del suo approccio discreto nella documentazione fotografica, poi abbia premiato fotografi che hanno scelto di saturare le proprie immagini con un’urgenza e un dramma che hanno eliminato ogni possibile percezione del teatro degli eventi nel suo complesso.
Posso solo sperare che i mentori di Prickett al Joop Swart non abbiano cercato di spingerlo verso un approccio più ‘diretto’ nel fotografare, il suo stile mi sembra perfetto così com’è.
All images © Ivor Prickett
Interessante questa nota sull'eliminazione dello sfondo e del paesaggio. Se ci pensi è la stessa cifra "stilistica" che caratterizzava la photogallery del Time sul Protester come uomo dell'anno. Un caso?
ReplyDeleteThank you for introducing me to the work of Ivor Pickett. You are right. That is a compelling and truly informative eye. Wonderful photojournalism.
ReplyDeleteAlso check out Anastasia Taylor Lind's Egyptian Bloggers which shares Ivor Prickett's quiet approach - I love his Cairo images by the way.
ReplyDeletehttp://www.anastasiataylorlind.com/
Curiously enough, both Ivor and Anastasia were at this year's Joop Swart masterclass...
ReplyDeletefinalmente qualcuno ne parla! come non essere d'accordo!
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