Sunday, August 1, 2010

Philosophic landscape


An imaginary dialogue with Gabriel Benaim, an apprentice philosopher who turned to photography:
"Against Duchamp, I believe in retinal art, and attempt in my work to avoid preconceptions and formulas. For me, the visual is primary, and I expect any work of art, especially my own, to stand on its own visually, without recourse to an intellectual or even conceptual scheme."

- Those of you who have been hanging around here for some time might have guessed that I'm a fiend for this kind of statements, just because they allow me to indulge in my reluctance to consider the subject matter as the real drive behind a solid photographic work.

"Following Duchamp, I do see in the Ready-made a paradigm for how one should approach photography, in the sense that photographing creates a new version of an existing subject. The act of framing transposes a commonplace object into a work of art, if done successfully, and this transposition is for me the point of photographing."

- But while the Ready-made puts the viewer in front of the new nature of an object due to its displacement from an ordinary context, in photography aren't we constantly facing the risk that our viewer might cover this displacement with an act of memory triggered by the photograph? Photography is always on the border between memory and wonder, or memory and perception, isn't it? How can we make sure that the latter will prevail on the former?

Maybe this conflict, this tension is exactly what fuels Benaim's landscape work, where he seems to be constantly shifting from trying to sum up and frame the space in front of the camera to rather letting it flow, disperse, almost disappear out of the borders of the image.


Un dialogo immaginario con Gabriel Benaim, un apprendista filosofo che ha scelto di dedicarsi alla fotografia:

"Contrariamente a Duchamp, io credo nell'arte retinica, e nel mio lavoro cerco di evitare ogni tipo di preconcetto o formula. La dimensione visuale è primaria e credo che ogni opera d'arte, soprattutto il mio stesso lavoro, debba avere un'autonomia visiva, senza ricorrere a schemi intellettuali o concettuali."

- Chi mi legge da un po' di tempo sa che ho un debole per questo tipo di dichiarazioni d'intenti, non foss'altro perché mi permettono di indugiare nella mia riluttanza a considerare il soggetto, il tema come il motore fondamentale di un buon lavoro fotografico.

"Insieme a Duchamp, ritengo che il Ready-made sia un paradigma per pensare la fotografia, nel senso che fotografare crea una nuova versione di qualcosa di già esistente. L'atto di inquadrare, se realizzato efficacemente, traduce un oggetto comune in un'opera d'arte e questa trasposizione è per me il cuore della fotografia."

- Ma mentre il Ready-made pone chi guarda di fronte a un oggetto la cui natura è mutata per via del suo spostamento da un contesto ordinario a uno straordinario, in fotografia non siamo ogni volta di fronte al rischio che questa decontestualizzazione venga coperta da un atto di memoria innescato appunto dall'immagine fotografata? Non ci troviamo sempre in una zona di confine tra memoria e scoperta, tra memoria e percezione? Come essere sicuri che questa prevalga sui nostri ricordi?

Forse proprio questo conflitto, questa tensione è ciò che anima le immagini di Benaim, sempre in bilico tra un tentativo di riassumere e racchiudere lo spazio di fronte all'obbiettivo e un desiderio di lasciarlo scorrere, disperdere, quasi farlo scomparire oltre i bordi dell'immagine.


All images taken from Tel Aviv at 100 © Gabriel Benaim

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