Maps can guide us to our destination, and yet they need eyes able to read them, eyes able to move through paths that would otherwise remain mute in front of us. In his constant appeal to a different visual culture and to a photographic practice reinventing the status of photographs and their relationship with centuries and centuries of pictorial tradition, Marco Campanini creates images meant to be impossible maps of our own gaze on things, layers of signs and shadows where we get lost and find our way again, over and over. What we recognize is nothing else than the false illusion of a memory, what we don't recognize is maybe what we don't know how to see anymore.
"In an age dominated by images, should our relationship with images be anything but aware and critical?
Space as a dimension seems to have prevailed over time and history, and our daily lives are increasingly characterised by a form of visual bulimia that takes the form of a frenetic scanning of the images with which the media in its many forms bombard our eyes. [...]
My question concerning the symbolic depth of the “prehistorical images”, as a consequence, that of the “post-historical” images as well, is an appeal for the emancipation of those who, in the broadest sense, use photographic means and technical images, in the hope that from being mere ‘functionnaires' of the system they might rise to become ‘philosophers of the image' ".
"In an age dominated by images, should our relationship with images be anything but aware and critical?
Space as a dimension seems to have prevailed over time and history, and our daily lives are increasingly characterised by a form of visual bulimia that takes the form of a frenetic scanning of the images with which the media in its many forms bombard our eyes. [...]
My question concerning the symbolic depth of the “prehistorical images”, as a consequence, that of the “post-historical” images as well, is an appeal for the emancipation of those who, in the broadest sense, use photographic means and technical images, in the hope that from being mere ‘functionnaires' of the system they might rise to become ‘philosophers of the image' ".
Collezione di Sabbia - CDS14, 2007
Una mappa può guidarci verso una destinazione, eppure ha bisogno di occhi che la sappiano leggere, occhi in grado di muoversi lungo percorsi che altrimenti rimarrebbero come muti. Nel suo continuo appello per una diversa cultura visiva e un ripensamento della pratica fotografica e del rapporto di questa con secoli e secoli di tradizione pittorica, Marco Campanini realizza immagini come se fossero delle impossibili mappe del nostro stesso sguardo sulle cose, strati di segni e di ombre dove ci perdiamo e ci ritroviamo continuamente, per poi perderci un'altra volta. Quello che riconosciamo si rivela come la falsa illusione di una memoria, quello che non riconosciamo rischia di essere ciò che non sappiamo più guardare.
"Come dovrebbe essere il rapporto tra uomo e immagine, in un’epoca dominata dalle immagini, se non consapevole e critico?
La dimensione dello spazio sembra avere decisamente il sopravvento su quella del tempo e della storia, e la nostra esperienza quotidiana è sempre più caratterizzata da una sorta di “bulimia” visiva che si realizza in un frenetico esercizio di scanning delle immagini con le quali i più diversi media bombardano la nostra retina. [...]
La mia domanda rivolta alla profondità simbolica delle immagini “preistoriche”, e di riflesso a quelle “poststoriche”, è un appello per l’emancipazione di chi, in senso ampio, opera con il mezzo fotografico e le immagini tecniche, auspicando che da 'funzionario' del sistema assurga a 'filosofo dell’immagine'".
"Come dovrebbe essere il rapporto tra uomo e immagine, in un’epoca dominata dalle immagini, se non consapevole e critico?
La dimensione dello spazio sembra avere decisamente il sopravvento su quella del tempo e della storia, e la nostra esperienza quotidiana è sempre più caratterizzata da una sorta di “bulimia” visiva che si realizza in un frenetico esercizio di scanning delle immagini con le quali i più diversi media bombardano la nostra retina. [...]
La mia domanda rivolta alla profondità simbolica delle immagini “preistoriche”, e di riflesso a quelle “poststoriche”, è un appello per l’emancipazione di chi, in senso ampio, opera con il mezzo fotografico e le immagini tecniche, auspicando che da 'funzionario' del sistema assurga a 'filosofo dell’immagine'".
Grand Tour - da Ignace Jacques Parrocel. La battaglia di Torino del 1706, 2005
All images © Marco Campanini
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