Il titolo di una mostra in una galleria di Toronto ha subito attirato la mia attenzione: The death of photography. Ci risiamo, mi sono detto, un’altra occasione per speculare sul tema analogico/digitale, la pellicola, la fotografia, com’era una volta, com’è ora. Mi sono allora messo a capire di cosa si trattasse, e la reazione finale è stata meno polemica di come immaginavo, più ironica, forse. Si tratta di una mostra collettiva di tre fotografi, ognuno dei quali affronta in modo diverso il tema della dissoluzione dell’industria fotografica analogica. Il primo è Michel Campeau, con il suo lavoro Darkroom, dedicato alle camere oscure abbandonate, e di cui abbiamo già in passato menzionato i close-up di oggetti patetici e abbandonati a cui sono dedicate le sue immagini.
Il secondo è Robert Burley, il cui lavoro The Disappearance of Darkness documenta l’ultimo anno di vita del complesso industriale della Kodak di Toronto. Burley usa un bell’approccio paesaggistico e ambientale per raccontare luoghi dove fasti del passato e abbandono del presente coesistono in una strana atmosfera sospesa. Una delle principali qualità del suo lavoro è proprio quello che è assente nelle immagini di Campeau, il racconto dei luoghi, la rappresentazione dello spazio.
Il terzo lavoro, Lament di Alison Rossiter, presenta i disegni automatici che si generano in pellicole e carte fotografiche scadute da anni e sviluppate senza esporle, una sorta di ready-made della fotografia analogica.
I lavori sono molto diversi tra loro, praticamente hanno in comune esclusivamente il fatto di evocare una perdita, una scomparsa, compongono una sorta di elegia funebre.
Ma cos’è che questi lavori piangono esattamente? Che cosa è scomparso?
È scomparsa la grande industria fotografica analogica, ma cosa è scomparso con lei? La cosa che mi colpisce di più è che sembra che ciò che viene detto non esistere più sia proprio un tipo di immagine, come se ciò che c’è ora sia qualcosa d’altro. Questo in parte è vero, ma se si considera che non ci sono più milioni di scatti ‘privati’ fatti con la pellicola, decine di migliaia di camere oscure amatoriali nei garage delle case e migliaia di persone che si preparano con amore il loro portfolio ai sali d’argento, è altrettanto vero che la possibilità di fare tutto ciò non è sparita, c’è ancora, se la si vuole cercare.
Adesso ci sono milioni di macchine digitali, più o meno piccole, più o meno piene di funzioni nascoste che usurpano all’utente tante piccole possibilità di decidere come fare le proprie fotografie.
Ma questo nel 1890 già lo diceva la Kodak con la sua prima pellicola in rullo, ‘Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto’. Trovarono anche una parola per esprimere tutto questo, snapshot, quello che in italiano chiamiamo istantanea e che in inglese significava lo sparo alla cieca che il cacciatore fa quando durante la battuta sente un movimento tra gli alberi, punta e spara senza mirare davvero.
E allora di nuovo, cos’è cambiato? Non è sparito davvero un modo di realizzare immagini fotografiche, piuttosto siamo semplicemente in un nuovo stadio della storia del consumo delle immagini fotografiche, che è un’altra cosa.
Chiunque voglia fare delle fotografie chiedendosi cosa davvero vuole fare con la sua mente e le sue mani, in ogni momento, dallo scatto alla stampa, può ancora liberare la fantasia e scegliere tutti i suoi gesti da artigiano. Non è questione di analogico o digitale.
The name of a photographic exhibition of a gallery in Toronto immediately caught my eye: The death of photography. Here we are again, I thought, one more chance to speculate on the analog/digital story, film, photography, how was it once, how it is now. I then tried to understand what it was all about, and my final reaction was less angry than I thought, more ironic, maybe.
It is a collective exhibition of three photographers, about the disappearence of the analog photography industry.
The first one is Michel Campeau with his work Darkroom, images of abandoned darkrooms. I already mentioned his close-ups of pathetic abandoned objects that represent the main theme of his images.
The second one is Robert Burley, whose work The disappearance of Darkness documents the final year of activity of the Kodak Toronto facility. Burley uses an interesting approach towards his subject, using urban landscape and interior photography to show us the places where the glories of the past and the actual state of neglect live together in a surreal atmosphere. One of the main qualities of Burley’s work is exactly what is missing in Campeau’s images, the visual tale of those places, the representation of space.
The third work, Lament by Alison Rossiter, is made with the automatic drawings made by long-time expired films and papers when developed unexposed, a kind of ready-made of analog photography.
These works are quite different one from the other, they basically just share the fact of evoking some kind of loss, or disappearance, they make a funeral elegy.
But what do these images exactly mourn? What disappeared then? The analog photography mass industry disappeared, but what faded away with it? The thing that strikes me most is that it is as if what would have disappeared is a kind of image, as if what we have now would be something different. This is true in part, but if millions of ‘private’ analog shots don’t exist anymore, like tens of thousands of amateur garage darkrooms or thousands of people making their silver gelatin portfolios, it is as much true that there is still the possibility for all this.
Now we have millions of digital cameras, more or less compact or small, more or less full of hidden functions that don’t allow the user to decide how to shoot his own pictures.
But this was already true in 1890, when Kodak introduced the first roll film with the slogan ‘You press the button, we do the rest'. They also found a name for this, ‘snapshot’, the word used by hunter for a random shot without really aiming at the target.
So, again, what has really changed? No photographic technique, or worst, identity has really disappeared, we are just in a new stage of the consumer history of photography, which is something else.
Anyone who wants to take pictures exploring any possibilities with the mind and the hands at any stage, from the shoot to the print, can still unleash his or her own fantasy and make all the choices, like a craftsman. There’s no analog/digital debate on this.
Monday, January 28, 2008
Necrologio
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