Jürgen Nefzger è un paesaggista romantico, colori accesi e forme perfette, ma all'orizzonte c'è qualcosa di grosso che fa fumo.
Da non perdere le serie Fluffy Clouds e Bleau.
Friday, November 30, 2007
Segnali di fumo
Micromondi
Paolo Ventura crea delle bellissime visioni in miniatura, un mondo dove fotografia e cinema si fondono nei piccoli teatri che costruisce.
Il suo ultimo lavoro, Winter stories, uscirà per Contrasto nell'inverno 2008.
Qui altre immagini e qui un'intervista.
Infine Dressed for eternity, immagini che Ventura ha realizzato nella cripta dei Cappuccini di Palermo.
I want to take picture
Bill Burke negli anni ha realizzato un'opera che ha capovolto gli stilemi del reportage per 'sprofondare' nelle realtà che voleva raccontare, trasformando la presunta documentazione nell'impossibilità di un punto di vista unico. Ha creato un filo che ha legato la provincia americana e la complessità di una regione come il Sud Est asiatico, come facessero parte di un unico grande discorso, potendo leggere l'una nell'altra. Burke si è recato per anni e anni in Vietnam, Laos e Cambogia creando un flusso di immagini in cui tutta la stratificazione dei diversi elementi che hanno creato società come quella vietnamita o cambogiana emerge nella sua forza, rivelando le tracce del sogno americano che si è voluto imporre in quelle realtà lontane.
Interessante notare come il suo ultimo lavoro, il libro Autrefois, maison privée (2004), dedicato all'architettura cambogiana e alle trasformazioni d'uso degli edifici nel corso degli anni, segni un cambiamento rispetto all'approccio autobiografico e 'immerso' degli altri lavori, rivelando una distanza di sguardo e una pacatezza visiva inedite nel lavoro di Burke.
Qui altre immagini (il suo sito personale è un po' capriccioso).
Thursday, November 29, 2007
Appello per la liberazione di Bilal Hussein
Bilal Husssein, fotografo di Associated Press, vincitore nel 2005 del premio Pulitzer insieme ai suoi colleghi di AP, è in carcere dal 12 Aprile 2006 e solo il 20 novembre 2007 gli è stata formalizzata l' accusa di essere un terrorista infiltrato nell'agenzia fotografica. Entro oggi le forze Americane dovrebbero formalizzare l'accusa davanti ad un tribunale Iracheno e Bilal per il suo lavoro rischia la pena di morte.
Qui per avere maggiori notizie sul caso e qui un appello per la liberazione
Cadaveri quotati
Sandro Iovine ha scritto sul suo blog un articolo molto interessante sugli scomodi intrecci tra fotogiornalismo e arte fotografica, notando come le quotazioni delle fotografie di Paolo Pellegrin in una galleria di New York salgano in base al tasso di morte presente nelle immagini. Da qui parte una riflessione sul ruolo e sull'identità di chi fa tali immagini, proseguita da Cultframe. Lì, in particolare si ragiona sul giusto conflitto tra documentazione della realtà e mondo soggettivo dell'autore che va a sovrapporsi su tale realtà da documentare. Breve citazione: 'non è a nostro avviso possibile affermare di trovarci di fronte al "racconto della realtà" bensì il fruitore interagisce emotivamente con una narrazione filtrata dall'animo del fotografo, il quale rielabora il mondo attraverso una riformulazione personale degli accadimenti.'
Pur condividendo, viene da aggiungere un'ulteriore spunto: è probabilmente impossibile eliminare il filtro del fotografo, la parzialità e l'arbitrarietà di una fotografia sono di tali proporzioni che la visione del fotografo non è eliminabile. Vista in questo modo allora la questione diventa che tipo di sguardo ci troviamo di volta in volta di fronte, quanta libertà ci lascia di osservare qualcosa o quanto la sua visione sia 'chiusa' in un'unica direzione.
Dico questo perchè 'enfatizzazione drammatica dell'inquadratura, uso evidentissimo di contrasti, cieli lividi, fortissima sgranatura del bianco e nero, angolazioni impressionanti', per citare di nuovo come Cultframe descrive il lavoro di Pellegrin, a me non sembrano in primo luogo caratteristiche di un'immagine troppo libera e spregiudicata per raccontarci la realtà, ma piuttosto strumenti di una potenziale visione 'obbligata', imposta, senza spazi per liberi movimenti dello sguardo.
Lì sta forse un altro problema frequente della comunicazione visiva, anche applicata all'informazione, non lasciare allo sguardo la libertà di pensare e sentire, chiedergli solo di assumere una comunicazione già chiusa.
La fotografia di informazione non deve essere per forza così (e figuriamoci l'arte, allora), ed è per questo che adoro questa fotografia di Thomas Hoepker scattata a NY l'11 settembre 2001:
Più che un attimo, immagini di questo tipo sono racconti, ti chiedono comunque di pensare, ti fanno fare altre immagini.
A riprova basta cercare in rete tracce del grande dibattito sulla genesi e l'uso che è stato fatto di questa foto.
Ma, come si noterà da tale dibattito, la ricchezza della foto non è nella verità che restituisce, che può deludere o mistificare in mille modi, ma semplicemente nella possibilità di suscitare pensieri.
Torino chiama Düsseldorf
Nell'attegiamento di Fulvio Bortolozzo verso la fotografia c'è qualcosa che trascende lo Stivale.
Da vedere il progetto Olimpia (riflessioni sulla nuova Torino olimpica) e il sito curato da lui, "Luigi Walker, per la fotografia contemporanea" dove segnalo il lavoro di Bruna Ginammi "Famiglie" e quello di Luca Luciano "Armstrong il comunista".
Da vedere anche la serie Vaccarezza.
L'uomo e la terra
Di nuovo sul New Topographics, questa volta per segnalare l'uscita recente di un volume antologico su uno dei fotografi considerati parte di questo movimento: Frank Gohlke. Il volume si intitola Accommodating Nature, e raccoglie più di trent'anni di lavori del fotografo americano.
Qui una scheda su Gohlke in italiano, tratta da Fotologie.
Infine, una bella panoramica sui suoi libri su 5b4-Photography and books.
Wednesday, November 28, 2007
da lontano
Julio Bittencourt con la serie "In a Window of prestes Maia 911 Building" ha vito il Leica Oskar Barnak Award 2007. Il lavoro racconta le finestre di un palazzo occupato da 1200 senzatetto a San Paolo (Brasile).
La cosa interessante del lavoro di Bittencourt è la forza del racconto che si sviluppa senza forzare l'intimità dei luoghi abitati dalle persone ritratte.
Sul 'fotografico'
Robert Demachy, Mont Saint-Michel
L’uso dell’espressione ‘il fotografico’ ha suscitato delle reazioni, diverse tra loro, alcune delle quali hanno dato l’impressione di andare in direzione opposta a quello che si intendeva con quell’espressione. Probabilmente perché usata in maniera troppo concisa, data per scontata quando invece, è vero, evoca temi piuttosto complessi.
L’accezione con cui si proponeva il fotografico come qualità sovrastante le reali immagini fotografiche si riferisce al fatto che, storicamente, sin dalla nascita la fotografia ha evocato delle qualità e delle proprietà che si sono diffuse nelle altre forme espressive. La letteratura e la pittura, ad esempio, come del resto il parlare comune, hanno fatto proprie in vario modo nel tempo suggestioni e stimoli mutuati dalla fotografia.
È legittimo pensare che questo derivi originariamente dal ‘mito’ dell’invenzione fotografica, ‘mito’ perché vi si vedeva un progresso nel quale, ipoteticamente, la mano dell’uomo si sarebbe quasi potuta limitare ad assecondare le esigenze dell’apparecchio per creare un’immagine e per riprodurre la realtà.
Va anche considerato che la fotografia si è trovata, molto più di altre forme espressive, ad avere una storia dove l’industria e la libera ricerca sono sempre coesistite: c’è da chiedersi se uno slogan come quello della Kodak nel 1890, ‘Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto’, non abbia inciso di più nel determinare un’immagine collettiva della fotografia, piuttosto che autori, libri, mostre o quant’altro.
Pensiamo che una delle principali conseguenze di ciò sia che in fotografia da una parte abbiamo la tecnica, l’industria, la cultura popolare, insomma tutto un insieme di immagini ‘globali’, dall’altra le immagini reali, che possono essere dell’amatore, del professionista, dell’artista.
Ed è per questo che si è contrapposto il ‘fotografico’ alle immagini fotografiche, perché pensiamo che la fotografia abbia l’ingannevole capacità di far sentire a chi la guarda di capirla, ma non necessariamente di sentirla davvero.
In fondo, tra due pittori non potrà mai esistere la differenza praticamente ontologica che può esistere tra due fotografi, al punto che può non avere molto senso chiamarli con lo stesso nome, rimanendo pura convenzione.
Però forse c’è il rischio che il ‘fotografico’ porti comunque ad accostarli forzatamente, con il pericolo così di togliere a uno per dare all’altro.
Il soggetto, la figura e lo sfondo, il genere, il colore o il bianco e nero, l’argomento, sono tutte cose che in fotografia rischiano di ‘preparare’ fin troppo la visione di immagini fotografiche, quasi connotassero l’immagine a prescindere, prima ancora che la si veda.
È difficile pensare le fotografie nella loro totalità di immagini, difficile pensarle come qualcosa in cui lo sguardo si muova, si soffermi, crei dei percorsi liberi, facile che siano immagini gerarchizzate, dove allo sguardo venga indicato dove guardare, quando, in quale ordine.
Però al tempo stesso esiste tanta fotografia dove ciò non è vero, dove esiste una libera ricerca, dove il lavoro è orientato verso la creazione di immagini e non verso la produzione di fotografie di qualcosa.
Nessuna intenzione di dire che una cosa sia migliore o più necessaria dell’altra in assoluto, semplicemente ci piace segnalare e riflettere sulla fotografia e sulle sue possibilità di libera ricerca visiva.
Questa è l’unica ragione per cui Hippolyte Bayard è nato.
Forse è tutto ancora troppo e in poco spazio, timore di speculare senza cogliere resta, però ci sarà tempo di continuare a discutere e approfondire, se ci sarà la voglia.
Tuesday, November 27, 2007
Mondo plastico
Quando qualcuno (un tedesco, per di più) fotografa esclusivamente luoghi deserti e asettici e inoltre questi luoghi vuoti sono repliche di cartone 1:1 e non ambienti reali, cosa si può fare?
Probabilmente, o lo si ama o lo si odia. Thomas Demand è un altro membro della banda di Düsseldorf (notare l'estetica del sito della scuola, che ovviamente è solo in tedesco, non poteva essere diversa).
Qui un'intervista del 2005 e qui una del 2007 con altre immagini e link a suoi lavori.
Un tuffo nel passato
Torniamo indietro trenta-quarant'anni con due lunghe interviste a due pilastri della fotografia americana della metà del XX secolo: Walker Evans e Harry Callahan. Contemporanei ma di percorsi opposti, è risaputo che l'uno divenne l'eroe della fotografia sociale, l'altro si formò con la Bauhaus e proseguì su un filone di ricerca personale, 'soggettiva' per usare uno di quei termini che vanno molto nelle storie della fotografia.
E poi, come dice Paolo Conte, 'certi applausi, ormai, son dovuti per amore'.
Le interviste fanno parte degli Archives of American Art - Oral histories, Smithsonian Institute, per chi vuole c'è da leggere un'infinità di interviste, sia a fotografi (Dorothea Lange, Aaron Siskind, etc) che a pittori, storici dell'arte, musicisti, architetti, etc.
Qui immagini di Evans e qui di Callahan.
Wonderland
Nell' opera di Rocky Schenck l'ambiguità visiva della rappresentazione genera allo stesso tempo scetticismo e incanto e invita a una riflessione sul rapporto fra realtà e fotografia. Qui i suoi ultimi lavori
Monday, November 26, 2007
Su vasta scala
Due libri usciti recentemente documentano il lavoro svolto nell'ultimo anno da Andreas Gursky. Sono i cataloghi usciti in occasione delle sue esposizioni a Basilea e ad Instanbul e nell'Emirato di Sharja e bene illustrano il corso attuale di Gursky, dove la scala delle opere se possibile aumenta (la serie Boxenstopp, immagini dei Pit stop in Formula 1, misurano 223,4 x 609 cm) e lo sguardo 'sovrumano' che tanto spesso gli viene attribuito si intensifica ulteriormente.
Resta comunque un lavoro molto interessante per l'approccio con cui racconta la creazione e la fruizione di luoghi di aggregazione da parte degli esseri umani (espressione che mi sembra adatta all'approccio entomologico di Gursky).
Ed è interessante anche per la sua pratica fotografica, orientata com'è verso un'idea di 'opera' fotografica nel senso più solenne del termine, per la sua tecnica di 'manipolazione' (molti continuano a chiamarla così...) digitale, dove lo spazio viene rimodellato (aggiunta di elementi o cancellazione di altri in postproduzione), togliendo valore al momento dello 'scatto' come istante fondatore dell'immagine.
La 'verità' del mondo e della società umana nelle immagini di Gursky non è quindi nell'effettivo essersi manifestate come le vediamo al momento dello scatto (spesso una sua opera è composta da più fotografie assemblate insieme): sta piuttosto nella 'credibilità' di ciò che abbiamo di fronte, vale a dire nella capacità di tali immagini di suscitare sensazioni e pensieri sul nostro mondo a partire dalla rappresentazione che ne fanno.
E questo, al di là dello stile di Gursky, è un concetto che applicato alla fotografia non fa mai male...
Mi è capitato di leggere impressioni non esaltanti sulla qualità delle sue stampe mastodontiche, belle da lontano, povere da vicino, cosa che in effetti ho pensato di alcune sue opere viste in passato.
Chi ha voglia può provare a inseguirlo nel suo ricco tour di mostre.
Qui uno sguardo ad alcune di queste immagini recenti.
Saturday, November 24, 2007
Oltre le topografie
Nel 1975 a Rochester (NY), la George Eastman House inaugurava una mostra che fece epoca: NEW TOPOGRAPHICS, Photographs of a Man-Altered Landscape. Sontuosa la lista dei partecipanti: Robert Adams, Lewis Baltz, Bernd ed Hilla Becher, Joe Deal, Frank Gohlke, Nicholas Nixon, John Schott, Stephen Shore ed Henry Wessel jr. La concisa descrizione da Wikipedia di tale corrente fotografica è la seguente:
"New Topographics is a movement in photographic art in which the landscape is depicted without sentimental representation of the world we inhabit as being a place we do not exist in. It is sometimes seen as a reaction against utopian representations in landscape photography, of the sort exemplified by Ansel Adams' photographs of Yosemite; depicting only unfettered nature at a time when industrialization was at its peak in the American economy. The photographers in the New Topographics style show landscapes that include roads, housing projects, bridges, and other aspects of the landscape which show the traces of human activity."
Per ragioni d'anagrafe, o chissà, un nome mancava, che grazie a loro, o dopo loro, o a partire da loro ha lavorato, ricominciando da lì e preparando il terreno per tanti venuti dopo. Provare per credere.
Omaggio a Joel Sternfeld.
Friday, November 23, 2007
Mare magnum
On the beach è l'ultimo libro di Richard Misrach, immagini di grande formato per un libro di grande formato (come del resto si fregia Aperture, 'il più grande libro' mai pubblicato dalla casa editrice). Per guardare qualcosa del suo lavoro in generale non resta che andare di qua e di la' nella rete.
(l'?) altra agenzia
Generalmente, accade che fotografi che si ocupano di conflitti, epidemie, carestie e tragedie umanitarie abbiano uno rapporto molto diretto con la sofferenza che attraversano. Questo spesso si traduce in una forma di rappresentazione dove il concetto di vittima/bersaglio non va oltre (o va oltre) la didascalia... per dire che è nata una nuova agenzia fotogiornalistica la Noor (Green, Bonet, Zizola per citarne alcuni).
Yuri Kozyrev (Afganistan)
Jan Grarup (Uganda)
Thursday, November 22, 2007
What ever happened to your dreams?
L'abbondanza di segnalazioni al maschile mi ha fatto tornare a vedere il lavoro di Ellen Kooi, dove ho trovato nuove immagini appena incluse.
Sul suo sito ho anche scoperto Fantasy, un dittico di mostre collettive a Pontault-Combault e a Parigi, con suoi lavori e quello di altri artisti molto interessanti, da Ralph Eugene Meatyard ad Alessandra Sanguinetti.
Wednesday, November 21, 2007
Il tempo di una foto
Le immagini di Michael Wesely nascono da esposizioni lunghissime: ore, settimane, mesi, anni...
per vendetta
Vendette in Albania raccontate da Guillaume HERBAUT (Oeil Public) cap.1 e cap.2, qui lo stesso lavoro editato in modo diverso.
Sunday, November 18, 2007
Ombre
Altro libro molto interessante uscito da poco è Time frame di Matthew Pillsbury, dove sono raccolti i suoi progetti Screen lives e Museum hours, lunghe esposizioni e infinite sfumature d'ombra. Da vedere sul suo sito anche il nuovo progetto London.
Saturday, November 17, 2007
Vita di un padre
È uscito da poco un piccolo libro molto bello di Darin Mickey, Stuff I gotta remember not to forget. Musicista e insegnante di fotografia all'ICP di New York, Mickey ha fotografato suo padre nelle sue giornate divise tra il lavoro, gli svaghi e la vita domestica. Adulto che osserva il proprio padre, con le sue immagini trasmette un intreccio di affetto e distanza per le piccole avventure del suo genitore affaccendato.
Qui altre immagini dal libro.
Monday, November 12, 2007
Lithuanian Disco
Andrew Myskis con la sua semplicità, manda in bestia i fotoreporter che con grande perizia compositiva e ottime doti atletiche e contorsionistiche inseguono composizioni impossibili e attimi che fanno fatica a restar fermi.
Qui l'autore intervistato da Jörg Colberg
Canon Dial for my birthday
Jacob Holdt, qui c'è la storia del suo viaggio, qui il link al labirintico archivio del suo lavoro
Saturday, November 10, 2007
Occhio indiscreto
Alison Jackson è una fotografa e videoartista inglese. I suoi lavori sono realizzati con sosia di celebrità, mostrati in immagini 'rubate' di situazioni private grottesche e compromettenti.
Da visitare anche ajnews, il suo sito di finte news sui vip, con video e scoop. Qui un'intervista e altre immagini dai suoi due libri, Private e Confidential.
Friday, November 9, 2007
3 libri
Nicolai Howalt ha pubblicato 3 libri davvero splendidi: How to hunt, 3x1, Boxer.